Archive for the ‘Cultura/Politica’ Category

Andrà Tutto Bene – Asso di Cuori

[Riva d/g] Presentazione libro “Andrà tutto bene” di Massimiliano Macera

http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=381478

OCCIDENTALE di novembre 2009

http://www.occidentale.org

In prima pagina:

Nutella & oligarchia

Con la svolta bersaniana il Pd da movimento “liquido” si fa solidissima sponda per i poteri forti
Ritratto di un partito in cerca d’autore con un sogno nel cassetto: uccidere Silvio

di Adriano Scianca

«Lo scrutatore non votante / è indifferente alla politica / Ci tiene assai a dire “ohissa!” / Ma poi non scende dalla macchina / È come un ateo praticante / Seduto in chiesa alla domenica / Si mette apposta un po’ in disparte / Per dissentire dalla predica». Dice bene, Samuele Bersani, tratteggiando il ritratto dell’italiano medio qualunquista, borghese, pavido e disimpegnato. Tutt’altra storia – apparentemente – rispetto alla folla di bravi cittadini educati, entusiasti, sorridenti e volenterosi che il 25 ottobre scorso hanno affollato i gazebo del Pd per eleggere segretario un altro Bersani, quel Pier Luigi che rappresenta il ritorno al passato del partito che si voleva invece più moderno dell’Italia contemporanea.
Il sito di controinformazione noreporter.org ha ben illustrato la paradossale elezione del nuovo segretario, fatta passare dai media compiacenti come uno straordinario esempio di partecipazione popolare. Essendo un’immagine fulminante e sintetica ne riportiamo il testo integrale:
«Più di due milioni e mezzo alle urne nelle primarie piddine per ratificare il cambio di testimone. Ovvero il sei per cento degli aventi diritto al voto. Segretario piddino, il terzo  in un anno, sarà Bersani. Lo si sapeva: era il candidato delle banche, dei sindacati, dello zoccolo storico del Pci, dell’Ulivo e il rappresentante dei governatori delle regioni a poteri forti (Calabria, Campania). A che servisse andare ai gazebo del partito più grottesco e meno serio d’Italia non è dato sapere. Ma il dato di cultura sociale è da incorniciare. In Italia sei elettori su cento  sono disposti a buttare due euro e una porzione di domenica per andare a far finta di contare qualcosa. Cosa non si sa, e non importa, quel che conta è credere di essere importanti almeno un po’. Noccioline!».
Eh sì, ci vorrebbero proprio le noccioline. Perché il Pd ha tanti difetti, ma se non altro fa ridere. Quasi mai volontariamente, in verità, ma comunque non è poco. E’ del resto curioso che un partito nato come creazione di veltronismo puro, intriso di buonismo, di pensiero debole, di “ma anche”, di spirito televisivo, di inglesismi e anima modaiola possa di punto in bianco riciclarsi come nuovo Pci. Il Partito democratico, insomma, appare oggi più che mai un contenitore vuoto, senza un progetto globale. Un movimento che oggi fa dell’essere “liquido” la propria ragion d’essere e che domani può senza vergogna e senza tanti ripensamenti riscoprirsi “solido” al limite della fossilizzazione.
Ma tutto questo, in fondo è inutile. Perché, di fatto, i piddini sanno benissimo di non contare nulla. Per ora. E’ tutto falso, è tutto privo di senso. Il Pd, in effetti,  nasce con il paradosso di sbandierare al mondo la sua “vocazione maggioritaria” e di costituire, al contempo, l’unico partito d’opposizione d’Occidente che non mette neanche in agenda la possibilità di andare al governo. Non in maniera “democratica”, almeno. Pensateci bene: ma davvero vi immaginate di andare domani alle elezioni e vedere il Pdl del buon Silvio perdere in modo legale e trasparente sotto i colpi dello straordinario consenso popolare dei Bersani-boys? Dai, facciamo i seri.
La verità è che in Italia un’opposizione forte, combattiva, pericolosa esiste davvero, ma è rappresentata da oligarchie di cui al massimo il Pd può aver fatto da cassa di risonanza, non certo da traino. Il quadro è più o meno questo: lo scenario di una democrazia british perfettina e pregna di senso civico ed elegante sportività in Italia semplicemente non esiste. Chi si immagina Berlusconi come l’Attila televisivo, rozzo arricchito giunto a turbare questo ordine idilliaco non ha capito nulla, dato che appunto tale modello da noi non si è mai imposto. La democrazia, in Italia, è finita e non per colpa del lupo cattivo di Arcore. E’ finita (ma è mai iniziata?) perché superata in due direzioni opposte. Berlusconi è post-democratico per il suo populismo carismatico che qualcuno (forse dando un suggerimento implicito) definisce “peronista”. La sinistra, che invece si vuole morigerato baluardo della Costituzione e bla bla bla, è invece altrettanto post-democratica, ma in direzione opposta: quella che appunto strizza l’occhio alle oligarchie. Il fronte antiberlusconiano non ha le sue avanguardie nelle gerarchie di partito ma nelle “elite radical chic di merda” (Brunetta dixit) dei giornali, della magistratura, degli imprenditori cattocomunismi.
E su tutto, in modo inquietante, si affaccia l’idea del tirannicidio. La visione per cui si esce dal berlusconismo solo con la fine fisica di Berlusconi è sin troppo diffusa. Per lo più si parla di declino fisico più o meno spontaneo (eppure Silvio, pur non essendo un giovincello, non ha nemmeno 99 anni…). Qua e là, però, si fa strada il retropensiero, che talora affiora persino alle labbra, che tutto sommato affrettare le cose ed eliminare l’uomo di Arcore sia un dovere civico di ogni sincero democratico. E’ così che si producono film come “Shooting Silvio”. E’ così che l’incauto giovane dirigente del Pd modenese se ne esce in Facebook con uno status del tipo: “Ma santo cielo, possibile che nessuno sia in grado di ficcare una pallottola in testa a Berlusconi!”, portando alla luce del sole quell’aspirazione che dovrebbe rimanere segreta fino al momento opportuno.
Ovvio, fa sorridere Berlusconi che parla di “comunisti”, “sinistra eversiva”, “golpe della magistratura” etc, che paventa complotti ai suoi danni con il suo caratteristico approccio esagerato e tranchant. Fa sorridere, ma tra le righe del discorso demagogico dice importanti realtà. Dice che, appunto, c’è in Italia una sinistra infeudata in precisi centri di potere culturali, economici e istituzionali. Dice che nessuno di tali centri ha investitura popolare e che anzi tutti hanno fastidio e insofferenza verso la popolarità di cui gode la maggioranza. E’ l’eterna idea della “democrazia etica”, dove il volere del popolo è guidato e indirizzato dalle elite verso ciò che è moralmente degno di interesse. Una visione paternalistica e oligarchica, di fatto realmente postdemocratica.
Ecco, il brodo di coltura del Pd è questo. Solo che il partito che fu di Veltroni e Franceschini è stato fino ad ora trascinato da tali settori anziché esserne la locomotiva. Con Bersani accadrà la stessa cosa? Staremo a vedere. Per come si è mosso fino ad ora, per la sua storia politica, per le sue idee e i suoi agganci, il neosegretario sembra l’uomo giusto per legare in modo ancora più solido il partito ai poteri forti e dare magari maggior peso specifico al Pd nello schieramento oligarchico antiberlusconiano. Un ex Pci, con mentalità organizzativa, burocratica e attivistica di stampo togliattiano messa al servizio di un progetto che da sempre guarda ai salotti buoni della finanza. Bersani fu l’uomo di riferimento dell’ex presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, che si disse pronto «a dare il massimo supporto» all’allora ministro dello Sviluppo economico.
«Nel marzo 2008 – ricorda il Corriere della Sera – quando il gover­no di centrosinistra stava esalan­do gli ultimi respiri, i due rievo­carono così i due anni trascorsi dai lati opposti della barricata. Bersani: “Ringrazio Montezemo­lo del confronto, spesso anima­to, ma sempre civile. Abbiamo cercato di fare ciascuno qualco­sa di buono”. Montezemolo: “Posso contare sulle dita le volte in cui non mi sono trovato d’ac­cordo con Bersani”. Va detto che l’ex presidente degli industriali non è l’unico im­prenditore con cui il segretario del Pd ha un rapporto speciale. C’è anche il suo partner in varie iniziative, Diego Della Valle. E l’attuale presidente dell’Alitalia Roberto Colaninno, padre del de­putato Pd Matteo Colaninno (bersaniano), dieci anni fa prota­gonista della scalata a Telecom Italia. “Gli vanno riconosciuti dei meriti. Spero resti sulla sce­na”, dichiarò Bersani quando nel 2001 Telecom Italia passò di mano. Una relazione inossidabi­le, come quella con la Lega delle cooperative di Giuliano Poletti. Mai ufficialmente schierata con Bersani, ma non per questo indifferente alla battaglia per la segre­teria del Pd. Ma le lenzuolate bersaniane ebbero anche la sponda del go­vernatore della Banca d’Italia. Che fu ricambiato con un pub­blico apprezzamento: “Mi pare che Mario Draghi appoggi la no­stra linea di riforme sul massi­mo scoperto e la trasferibilità dei mutui”». Bersani uomo dei poteri forti quindi. Ma anche del sindacato: si consideri solo che dei dieci componenti della segreteria della Cgil ben sette, escludendo Epi­fani, Paola Agnello Modica e Morena Piccinini, si sono ad­dirittura candidati nelle liste a soste­gno di Bersani. Imprenditori e sindacati uniti nella lotta. E’ il trionfo di quella che Pareto chiamava “plutocrazia demagogica”.
Rispetto a tutto ciò, il ruolo delle avanguardie attive non può che essere quello di serrare i ranghi e fiutare i cambiamenti in atto. Senza tentazioni da “utili idioti”, in un senso o nell’altro, ma anche senza falsi moralismi, inutili reticenze, sterili duropurismi. Non c’è da fare le guardie bianche di alcuno zar, c’è solo da calarsi nella realtà. L’assalto delle forze antinazionali all’Italia è un dato di fatto, chiaro come il sole. Occorre allora rilanciare la sfida, fare quadrato ed essere “lobby di popolo”. La partita è appena incominciata.